Spezie scolpite, sapori netti, contaminazioni. Cambia il luogo, cambia il nome, ma non cambia l’emozione di una cucina che ingloba viaggi, esperienze, suggestioni.
Prima di varcare la soglia gastronomica del gourmet la tappa obbligata è sulla terrazza Divinity, all’ultimo piano dell’hotel. Vista sulla cupola del Pantheon, su Sant’Ivo alla Sapienza, capolavoro lieve del Borromini, e sui tetti di Roma. Un’atmosfera sospesa, interrotta qua e là dal volo bianco di un gabbiano, da un sussurro di brezza, dal tepore del sole, ancora tiepido in questi primi giorni di maggio. Luogo ideale per un calice di vino, per un bacio, per un aperitivo al tramonto o una cena estiva. A breve aprirà ufficialmente questo gioiello nel cielo romano e anche qui la mano di Apreda sarà fondamentale, tra carpacci, mozzarelle di bufala, tocchi partenopei, “spezial” pizze.
“La cucina che mi ha colpito di più è quella giapponese, ho vissuto lì tre anni, ho mangiato in grandi ristoranti, per strada, tra la gente, nelle bettole.L’influenza indiana è molto presente nei miei piatti, la cucina indiana è intensa, ma come ti fulmina la cucina giapponese…nessuna”. Ed eccola che torna, come un’onda, nelle preparazioni, nella salsa teriyaki e in un liquido alcolico che c’è, ma non si vede, il sakè.
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